In Italia, in fatto di gastronomia, ovunque si vada si cade in piedi. Dai canederli di Bolzano alla pasta con le sarde siciliana lo stivale è un tripudio di sapori, odori, colori e sapiente arte gastronomica – per lo più di origine povera e contadina – tramandata di generazione in generazione.
E se Roma è caput mundi, proprio la capitale rappresenta un buon esempio di quanto la cucina povera e gli ingredienti della terra possano fare nel creare decine di pietanze che ogni viaggiatore non può perdersi durante un soggiorno all’ombra del Colosseo.
Primi piatti
Solo a snocciolarle una dopo l’altra, le delizie gastronomiche capitoline fanno venire l’acquolina in bocca, a partire dalla classica pasta alla carbonara: rigidamente con guanciale e pecorino romano e guai a far cuocere il tuorlo che l’effetto frittata a Roma è un’eresia; e poi c’è l’arte della cacio e pepe dove il segreto sta nell’acqua di cottura che va miscelata per dar forma a quella cremina deliziosa che fa la differenza.
Per restare tra i primi piatti come non citare i bucatini alla Amatriciana, nati come variante al pomodoro di quelli alla Gricia o i maccheroni alla pajata conditi con un sugo creato cuocendo l’intestino del vitello.
Il “quinto quarto”, le interiora
E proprio il massiccio utilizzo delle interiora degli animali – il cosiddetto quinto quarto – è uno dei tratti distintivi della cucina di Roma.
La coratella, ad esempio, è un secondo piatto romano a base di interiora di agnello che vengono scottate e insaporite con abbondante cipolla; c’è poi la mitica trippa alla romana, ma anche le frattaglie di pollo vengono utilizzate molto sia per condire la pasta – meglio se fatta in casa – sia come secondo piatto che possa accompagnare i mitici carciofi alla romana o alla giudia o – altro contorno povero e delizioso – fave piselli e carciofi.
La regina di Roma: la coda alla vaccinara
Come le frattaglie anche la coda alla vaccinara (da provare in una delle tante osterie che si snodano a Trastevere) è nata dall’esigenza di insaporire un taglio di carne molto povero e con poca carne intorno. Spesso la coda del vitello veniva regalata dai macellai a coloro che uccidevano le bestie nel mattatoio a mo’ di mancia per il lavoro svolto. Per rendere meno fibrosa la carne e la cartilagine sita tra vertebra caudale e vertebra caudale la coda veniva cotta a lungo in abbondante salsa fino a quando non si veniva a creare quell’intingolo entrato a buon titolo nella storia della cucina italiana, così come l’abbacchio alla scottadito o i saltinbocca alla romana.
La “street food” romano
Ma Roma fa anche rima con supplì, crocchette, fiori di zucca in pastella, pizze, focacce, baccalà fritto: insomma street food gourmet (altro che hamburger e hot dog). Se per una pizzeria a San Giovanni c’è l’imbarazzo della scelta, la patria del baccalà fritto si trova nei dintorni di Campo dei Fiori mentre supplì e crocchette si possono assaporare appena fatte nelle tante gastronomie che si affacciano a ogni angolo della strada e sulle decine di piazze che raccontano la storia della nostra bella Italia.
La raccomandazione è quella di non perdersi il ventaglio di frittini alla romana da mangiare all’ombra della città millenaria. Si tratta di un fritto misto di carne e verdure costituito da animelle, cervelli, filetti di baccalà, carciofi e zucchine: non è certo il piatto più leggero del mondo, ma una volta nella vita va provato.
E poi ci sono le pizze: senza nulla togliere a Napoli la pizza alla romana è croccante e friabile. Per lo più viene proposta al taglio, ma non mancano le pizzerie tradizionali con la classica pizza rotonda. Anche in questo caso inevitabile l’antipasto di supplì o mozzarelline fritte: nessun oste che si rispetti non le proporrà prima della pizza e vale la pena assaggiarle.
Infine ci sono i dolci: uno per tutti? Il famoso maritozzo. E poi come non citare tutte le preparazioni a base di ricotta: dalla crostate ai cannoli per arrivare alla mousse.
Il tutto, ovviamente, innaffiato da uno degli splendidi vini dei Castelli.
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