La Sorrento dei poeti non è Sorrento, ma la strada che conduce a Sorrento. E questa strada è meravigliosa.
E’ un succedersi continuato di punti di vista uno più stupendo dell’altro.
Dopo aver attraversato un tratto di via di un orrido pittoresco, irto di scogliere maestose e di precipizi, in un momento ci troviamo in fondo a graziose vallicelle, in una specie di giardini d’Armida, sparse di ameni casolari rimpiattati fra boschetti di cedri giganteschi, sopra i quali passando la brezza del mare c’investe e ci ricrea con un’onda di profumo e ci ricopre con una pioggia di petali bianchi. E’ una scena delle più fantastiche, è un idillio soave della Natura cantato dalla voce del vento.
La madreselva e il glicine flessuosi, attorcigliandosi alle cancellate dei giardini, s’inerpicano di balcone in balcone, e correndo lungo le facciate delle case, vanno a nasconderle sotto una coltre di verdura e di fiori; agave colossali, fichi d’india, palme, carrubi; e olivi dalla faglia scura come quella dei lecci, ed ai quali l’acqua del mare bagna di spuma i tronchi sottili, slanciano le loro braccia in aria e si affollano sull’orlo dei dirupi, sollevando le loro chiome uno al disopra dell’altro, come se anch’essi volessero bearsi nella vista del mare e del paese divino che li circonda.
Che sogno fantastico, che gioia nell’anima era quella! Io ma la bevvi a larghi sorsi e mi trovai completamente beato, ripetendomi l’ottava dell’Ariosto:
“Vaghi boschetti di soavi allori
Di palme e d’amenissime mortelle,
Cedri ed aranci ch’avean fritti e fiori
Contesti in varie forme e tutte belle,
Facean ripario ai fervidi calori
De’ giorni estivi con lor spesse ombrelle;
E tra que’ rami, con securi voli,
Cantando se ne girano i rosignoli.”
I rosignoli mancavano; il resto c’era tutto.
Pare che tutto brilli, che tutto si muova, che tutto intoni una dolcissima armonia intorno a noi; pare che il cielo e la terra siano impazzati e che sorridano delle nostre facce melense perdute in un oceano di estasi contemplativa.